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Diritti umani, difendere leggi e convenzioni consolidate

L’appello affinché non venga più messo in discussione oltre un secolo di diritto internazionale umanitario è arrivato nel corso del convegno “La tutela dei diritti umani nelle aree di crisi” che si è svolto il 18 giugno a Roma presso Palazzo San Macuto

 

Conflitti cronici che si combattono in zone densamente popolate come le città, attacchi a strutture sanitarie e scolastiche per piegare le comunità locali, uccisione e utilizzo dei bambini come scudi umani e kamikaze. Le guerre sono cambiate e lo hanno fatto nel peggiore dei modi. L’appello affinché non venga più messo in discussione oltre un secolo di diritto internazionale umanitario è arrivato nel corso del convegno “La tutela dei diritti umani nelle aree di crisi”, organizzato dal Centro Studi Roma 3000 a Palazzo San Macuto, a Roma, lo scorso 18 giugno. Al convegno, moderato dal presidente del Centro Studi Alessandro Conte, hanno partecipato Croce Rossa Italiana, Save The Children Italia, Ambasciata della Repubblica Ucraina in Italia, Agenzia di stampa Habeshia e Vivere Impresa No Profit.

“La recrudescenza dei conflitti e delle vessazioni che hanno investito alcune popolazioni è il tema su cui si fondano le nostre iniziative, realizzate anche per sensibilizzare l’opinione pubblica – ha affermato Alessandro Forlani, membro del Consiglio di presidenza del Centro Studi Roma 3000 ed esperto di diritti umani e affari internazionali –. Ci sono conflitti cronici che sentiamo vicini per prossimità geografica perché avvengono nell’area mediterranea africana e nordorientale, muovendo sussulti e preoccupazioni anche nella società europea. In territori come la Siria e la Libia, nonostante gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale, si registra un’impotenza diffusa. Ci sono popoli che rischiano di rimanere senza storia a causa dei conflitti che si sovrappongono alle loro esistenze. Da ciò derivano le immigrazioni di massa che hanno investito anche il nostro Paese e che rappresentano anch’esse una grande questione dei diritti umani”.

In queste aree di crisi sono molti i volontari che si adoperano per portare aiuto, ma il livello di emergenza degli operatori sanitari nei campi di battaglia mette pericolosamente in discussione oltre un secolo di diritto umanitario internazionale. A darne un’idea sono i numeri snocciolati da Rosario Valastro, vicepresidente della Croce Rossa Italiana, che è intervenuto sull’esperienza della Croce Rossa nella protezione dei civili e degli operatori sanitari nelle zone a rischio. “Nel 2017 sono morti in Afghanistan 10 mila civili, nel 2015 nello Yemen il numero dei civili uccisi è arrivato a 50 mila – ha spiegato Valastro –. In Siria l’ONU non ha numeri, ma secondo la Croce Rossa sono stati 70 i volontari della Mezzaluna Rossa Siriana uccisi finora. C’è stato un imbarbarimento complessivo della vita delle popolazioni durante la guerra. Il vero allarme è la mancanza di rispetto della vita umana. La distruzione degli ospedali è finalizzata a indebolire ulteriormente la popolazione civile. Tutto viene messo in discussione rispetto alla Convenzione di Ginevra e alla nascita della Croce Rossa”.

Ma le violazioni più gravi durante i conflitti sono quelle perpetrate a danno dei diritti dei minori. Secondo Daniela Fatarella, vicedirettore generale Save The Children Italia, sono 357 milioni i bambini che vivono in zone di conflitto con un aumento del 75% rispetto all’inizio degli anni novanta quando erano 200 mila. “Questo perché le guerre sono ormai croniche e si sviluppano in zone densamente popolate come le città – ha detto Fatarella –. Colpire l’infanzia significa colpire la famiglia e, di conseguenza, piegare una comunità. Vengono costruiti ordigni rudimentali fatti per esplodere tra le mani dei minori, che vengono utilizzati come scudi umani e kamikaze, senza dimenticare la realtà dei bambini-soldato. Tra il 2005 e il 2016 oltre 73 mila bambini sono stati uccisi o hanno subito mutilazioni nell’ambito di 25 conflitti e quasi 50 mila sono stati forzatamente reclutati nei gruppi o nelle forze armate”.

I bambini che vivono nelle aree di conflitto sono sempre più a rischio anche quando si trovano a scuola o in ospedale, luoghi che dovrebbero essere per loro assoluta garanzia di protezione e che dovrebbero tornare ad essere porti franchi. “Oggi, nel mondo, 27 milioni di bambini sono tagliati fuori dall’educazione a causa dei conflitti perché costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, perché le loro scuole sono state distrutte o danneggiate oppure perché i loro insegnanti sono fuggiti. Tra il 2005 e il 2016, si sono infatti registrati oltre 15.300 attacchi che hanno avuto come obiettivo scuole e strutture sanitarie, con un incremento del 100% in un decennio”.

Dopo l’analisi globale del tema dei diritti umani, un accorato appello per la loro salvaguardia in Crimea è arrivato dall’ambasciatore della Repubblica Ucraina in Italia, Yehven Perelygin. “Durante tutto il periodo dell’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa – ha detto Perelygin –, gli abitanti della Crimea sono soggetti a sistematiche restrizioni delle libertà fondamentali come quelle di espressione, religione, associazione e informazione. È evidente che tale situazione non può più andare avanti e chiediamo alla Russia di garantire ai tatari di Crimea, agli ucraini e a tutte le comunità etniche e religiose della penisola la possibilità di mantenere e sviluppare la propria identità, cultura, tradizione ed istruzione”.

Anche il continente africano si trova nella situazione di dover chiedere la tutela di leggi e convenzioni consolidate che purtroppo traballano. Il diritto dei deboli non deve essere un diritto debole – ha esordito Padre Mussie Zerai, direttore dell'Agenzia stampa Habeshia, parafrasando le parole del cardinale Dionigi Tettamanzi –. Sul tema dei respingimenti, è mancata la prevenzione ai conflitti nei Paesi di origine e di transito. La gente fugge non solo dalle guerre, ma anche dalle dittature come in Eritrea dove il servizio militare permanente costringe i giovani alla fuga. Bisogna anche garantire la sicurezza nei campi profughi per evitare il traffico di esseri umani e quello di organi. Le risorse e le ricchezze africane vanno trasformate in democrazia e diritti, sviluppo e dignità. Invece ogni anno l’Africa perde 190 miliardi di risorse umane e di materie prime che fluiscono verso l’Europa, ricevendo in cambio 30 miliardi di aiuti. Aiutateci a tenere in Africa le nostre ricchezze per dare un futuro ai giovani. Diamo loro il diritto di non emigrare”.

La tutela dei diritti umani passa anche attraverso il rapporto di lavoro internazionale. A parlare dell’impegno delle aziende in questo settore è stato l’avvocato Cristina Nasini, membro del Comitato direttivo di Vivere Impresa No Profit. “C’è un doppio aspetto che le aziende devono prendere in considerazione – ha spiegato Nasini –. Quello privatistico, che riguarda il rapporto diretto con il lavoratore, e quello pubblicistico con enti ed Istituzioni. Gli aspetti privatistici nel rapporto tra datore e lavoratore sono molto importanti non solo per tutelare i diritti dei lavoratori, a partire dai criteri di selezione del personale per evitare scelte di natura discriminatoria, ma anche per un ritorno per la stessa azienda”.

A promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne è l’ILO (International Labour Organization), l’unica agenzia delle Nazioni Unite con una struttura tripartita: i rappresentanti dei governi, degli imprenditori e dei lavoratori determinano congiuntamente le politiche ed i programmi dell’Organizzazione. “La Dichiarazione Tripartita dell’ILO sulle imprese multinazionali e la politica sociale – ha continuato l’avvocato Nasini – rappresenta le linee guida per le imprese che vogliono espandersi all’estero. I principi enunciati in questo strumento di portata universale sono destinati a guidare le imprese multinazionali, i governi, gli imprenditori e i lavoratori in settori quali l’occupazione, la formazione, le condizioni di lavoro e di vita e le relazioni industriali. L’applicazione di questi principi è oggi più che mai necessaria ed attuale, tenuto conto del ruolo predominante svolto dalle imprese multinazionali nel processo di globalizzazione economica e sociale. Nel momento in cui si intensificano in numerose regioni del mondo gli sforzi fatti per attrarre ed incoraggiare gli investimenti diretti esteri, si rinnova l’opportunità a tutte le parti interessate di ispirarsi ai principi della Dichiarazione allo scopo di rafforzare gli effetti positivi delle attività delle imprese multinazionali nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo a livello internazionale”.

 

19 giugno 2018

 

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